[ Pobierz całość w formacie PDF ]
.«O tu che con le dita ti dismaglie»,cominciò 'l duca mio a l'un di loro,«e che fai d'esse talvolta tanaglie,dinne s'alcun Latino è tra costoroche son quinc' entro, se l'unghia ti bastietternalmente a cotesto lavoro».«Latin siam noi, che tu vedi sì guastiqui ambedue», rispuose l'un piangendo;«ma tu chi se' che di noi dimandasti?».E 'l duca disse: «I' son un che discendocon questo vivo giù di balzo in balzo,e di mostrar lo 'nferno a lui intendo».Allor si ruppe lo comun rincalzo;132Dante Alighieri - La Divina Commedia____________________________________________________e tremando ciascuno a me si volsecon altri che l'udiron di rimbalzo.Lo buon maestro a me tutto s'accolse,dicendo: «Dì a lor ciò che tu vuoli»;e io incominciai, poscia ch'ei volse:«Se la vostra memoria non s'imbolinel primo mondo da l'umane menti,ma s'ella viva sotto molti soli,ditemi chi voi siete e di che genti;la vostra sconcia e fastidiosa penadi palesarvi a me non vi spaventi».«Io fui d'Arezzo, e Albero da Siena»,rispuose l'un, «mi fé mettere al foco;ma quel per ch'io mori' qui non mi mena.Vero è ch'i' dissi lui, parlando a gioco:"I' mi saprei levar per l'aere a volo";e quei, ch'avea vaghezza e senno poco,volle ch'i' li mostrassi l'arte; e soloperch' io nol feci Dedalo, mi feceardere a tal che l'avea per figliuolo.Ma ne l'ultima bolgia de le dieceme per l'alchìmia che nel mondo usaidannò Minòs, a cui fallar non lece».E io dissi al poeta: «Or fu già maigente sì vana come la sanese?Certo non la francesca sì d'assai!».Onde l'altro lebbroso, che m'intese,rispuose al detto mio: «Tra'mene Striccache seppe far le temperate spese,e Niccolò che la costuma riccadel garofano prima discoversene l'orto dove tal seme s'appicca;133Dante Alighieri - La Divina Commedia____________________________________________________e tra'ne la brigata in che disperseCaccia d'Ascian la vigna e la gran fonda,e l'Abbagliato suo senno proferse.Ma perché sappi chi sì ti secondacontra i Sanesi, aguzza ver' me l'occhio,sì che la faccia mia ben ti risponda:sì vedrai ch'io son l'ombra di Capocchio,che falsai li metalli con l'alchìmia;e te dee ricordar, se ben t'adocchio,com' io fui di natura buona scimia».CANTO XXX[Canto XXX, ove tratta di quella medesima materia e gente.]Nel tempo che Iunone era crucciataper Semelè contra 'l sangue tebano,come mostrò una e altra fïata,Atamante divenne tanto insano,che veggendo la moglie con due figliandar carcata da ciascuna mano,gridò: «Tendiam le reti, sì ch'io piglila leonessa e ' leoncini al varco»;e poi distese i dispietati artigli,prendendo l'un ch'avea nome Learco,e rotollo e percosselo ad un sasso;e quella s'annegò con l'altro carco.E quando la fortuna volse in bassol'altezza de' Troian che tutto ardiva,sì che 'nsieme col regno il re fu casso,134Dante Alighieri - La Divina Commedia____________________________________________________Ecuba trista, misera e cattiva,poscia che vide Polissena morta,e del suo Polidoro in su la rivadel mar si fu la dolorosa accorta,forsennata latrò sì come cane;tanto il dolor le fé la mente torta.Ma né di Tebe furie né troianesi vider mäi in alcun tanto crude,non punger bestie, nonché membra umane,quant' io vidi in due ombre smorte e nude,che mordendo correvan di quel modoche 'l porco quando del porcil si schiude.L'una giunse a Capocchio, e in sul nododel collo l'assannò, sì che, tirando,grattar li fece il ventre al fondo sodo.E l'Aretin che rimase, tremandomi disse: «Quel folletto è Gianni Schicchi,e va rabbioso altrui così conciando».«Oh», diss' io lui, «se l'altro non ti ficchili denti a dosso, non ti sia faticaa dir chi è, pria che di qui si spicchi».Ed elli a me: «Quell' è l'anima anticadi Mirra scellerata, che divenneal padre, fuor del dritto amore, amica.Questa a peccar con esso così venne,falsificando sé in altrui forma,come l'altro che là sen va, sostenne,per guadagnar la donna de la torma,falsificare in sé Buoso Donati,testando e dando al testamento norma».E poi che i due rabbiosi fuor passatisovra cu' io avea l'occhio tenuto,135Dante Alighieri - La Divina Commedia____________________________________________________rivolsilo a guardar li altri mal nati.Io vidi un, fatto a guisa di lëuto,pur ch'elli avesse avuta l'anguinaiatronca da l'altro che l'uomo ha forcuto.La grave idropesì, che sì dispaiale membra con l'omor che mal converte,che 'l viso non risponde a la ventraia,faceva lui tener le labbra apertecome l'etico fa, che per la setel'un verso 'l mento e l'altro in sù rinverte.«O voi che sanz' alcuna pena siete,e non so io perché, nel mondo gramo»,diss' elli a noi, «guardate e attendetea la miseria del maestro Adamo;io ebbi, vivo, assai di quel ch'i' volli,e ora, lasso!, un gocciol d'acqua bramo.Li ruscelletti che d'i verdi collidel Casentin discendon giuso in Arno,faccendo i lor canali freddi e molli,sempre mi stanno innanzi, e non indarno,ché l'imagine lor vie più m'asciugache 'l male ond' io nel volto mi discarno.La rigida giustizia che mi frugatragge cagion del loco ov' io peccaia metter più li miei sospiri in fuga.Ivi è Romena, là dov' io falsaila lega suggellata del Batista;per ch'io il corpo sù arso lasciai.Ma s'io vedessi qui l'anima tristadi Guido o d'Alessandro o di lor frate,per Fonte Branda non darei la vista
[ Pobierz całość w formacie PDF ]